Avendrace delenda est

di Roberto Copparoni
Che il borgo di Sant’Avendrace sia trascurato è sotto gli occhi di tutti, ma la cosa più singolare è il fatto che il sale gettato dai pisani sulle rovine della nostra gloriosa capitale giudicale lagunare “Santa Igia” sembra che abbia sortito l’effetto voluto, ovvero far cadere tutta questa area nella indifferenza più totale.

In verità per l’occasione la distruzione della città avvenne, fra il 1257/58 nel giro di pochi mesi grazie anche all’aiuto fornito dai nostri nostri fratelli isolani di Torres, Gallura e Arborea ai pisani.

Pensate che in prossimità di città mercato di Santa Gilla non esiste alcun cartello segnaletico che indichi la presenza della città, giudicale lagunare di Santa Igia. Ci sono solo dei massi sotto il cavalcavia di via Po/via Brenta pertinenti a probabili antiche cinte murarie che testimoniano la presenza di significative vestigia. Aree degradate sui cui talvolta i cani fanno i loro bisogni e i frequentatori notturni trovano una sosta per incontrare le prostitute.

Oggi i tempi sono cambiati ma il risultato non cambia. Indifferenza anche senza sale…

Nel senso che tutto il borgo di Sant’Arennera, così come viene chiamato il borgo di Sant’Avendrace dagli stampacini (cuccurus cottu/teste calde) dovrebbe essere citato, a pieno titolo, come il primo centro storico della nostra città. Invece viene ignorato dalle stesse autorità comunali che rivolgono le loro attenzioni su altri quartieri più blasonati.

Fra l’altro si può affermare sulla base delle scoperte archeologiche fino ad oggi avute, che proprio in questo borgo venne edificato il primo insediamento umano urbanizzato che, verosimilmente, ha utilizzato almeno in parte anche delle probabili preesistenze nuragiche presenti sulle rive della laguna di Santa Gilla. Dico laguna perché il compendio è una laguna e non uno stagno.

L’equivoco sulla parola nasce dal fatto che spesso nella parlata sarda locale tutti i luoghi che avevano a che fare con la presenza di acqua, come stagni, acquitrini, lagune venivano chiamati “Stani”. Da qui l’errata abitudine di definire in lingua italiana questi luoghi con un termine che non è corretto.

Furono i fenici fra l’VIII e il IX secolo a giungere in questi luoghi entrando in contatto con la popolazione nuragica locale dove edificarono il primo scalo marittimo, proprio in prossimità dell’ex centrale elettrica di Santa Gilla.

Il primo porto commerciale di Cagliari nasce proprio qui. Perché fino ad alcuni secoli fa il tratto di laguna prospiciente Campo Scipione o San Paolo e l’area del Fangario era navigabile. Poi l’umo ci ha messo del suo per complicare le cose alterando tutto l’ecosistema lagunare di un’area altrettanto importante che è perfino un Sito di Interesse Comunitario: SIC di Santa Gilla ITB040023.

Sulle rive della laguna sorgeva quindi la città dei vivi e sulle pendici di Tuvumannu-Tuvixeddu veniva edificata la città dei morti.

Per la verità era presenta anche un’area sacra dove venivano sepolti i bambini, chiamata Tofet o Thopet. Si tratta di uno spazio a cielo aperto, dove venivano deposte sul terreno o nella roccia le urne che contenevano i resti incinerati di infanti nati morti o deceduti prematuramente, spesso accompagnati da un’offerta rituale per lo più animali (volatili e agnelli) anch’essi incenerati. Area la cui importanza non venne riconosciuta come tale dagli stessi archeologi che negli anni fra il 1940 e il 1950 operarono.

Infatti tutta l’area di interesse archeologico si sviluppa all’interno di circa 60/80 ettari di estensione, ovvero tutta l’area oggi compresa fra viale san Paolo, Viale Sant’Avendrace, viale Merello, Via Is Maglias Via San Michele. Il cuore di questa area era rappresentato dal viale Sant’Avendrace.

Fra l’altro proprio in questo rione sorgono due fra i principali edifici di culto cristiano. La chiesa di Sant’Avendrace e la chiesa di San Pietro dei pescatori, unici edifici presenti testimoni dell’era giudicale. Entrambi questi siti sono oggetto di interminabili lavori di scavo e di restauro che soprattutto per Sant’ Avendrace durano oramai da oltre 5 anni. Fra l’altro in questa chiesa a cui tutti gli stampacini sono legati, ma non solo, è presente una cella ipogeica a in cui la tradizione ci tramanda la presenza di uno fra i primi Vescovi di Cagliari “Avendrace” che per sfuggire alla persecuzione romana trovò rifugio in questa piccola cavità ipogeica. Al momento sono in corso scavi archeologici che confermano la frequentazione del sito in epoca storica assai remota di alcuni secoli prima del cristianesimo.

Fra le tante bellezze di Sant’Avendrace come non parlare delle monumentali tombe romane di Rubellio, delle spighe e dei pesci e della Vipera? Il canonico Giovanni Spano affermava che quest’ultima in particolare per la sua storia e per la sua monumentalità meriterebbe dei cancelli d’oro…e invece è immersa in un contesto assai poco decoroso.

Area della Tomba della Vipera. Altro che cancelli d’oro…
Fra l’altro, proprio a lato, vi sono una serie di altre tombe che sono state occupate da attività commerciali e artigianali. E poco più avanti c’è l’ultima villa storica del viale ancora visibile: Villa Laura, acquistata anni fa dalla Regione con nobili intenti che oggi versa in stato di totale abbandono. Dell’ex villino Serra e della Villa Mulas Mameli, già appartenuta all’Avv. Massa è meglio stendere un velo pietoso. Pensate che anziché recuperarle e valorizzare le ville e le rispettive aree di pertinenza da decenni sono lasciate al totale degrado e danneggiamento di vandali e senza tetto che, ancora oggi, vi trovano alloggio. Addirittura una parte del villino Serra (un torrino di due piani a pianta esagonale) venne in parte demolito dalla ruspe per evitare che i senza tetto potessero prenderne possess

Peraltro da anni sono state segnalate decine di altre tombe monumentali romane nell’aera collinare compresa fra via San Donà e vico II Sant’Avendrace, area in cui le autorità non sono mai intervenute.
Anche il viale di Sant’Avendrace andrebbe valorizzato e curato perché nell’antichità questa strada era assai importante e monumentale, un po’ come la leggendaria via Appia di Roma. Infatti lungo il suo percorso originario il nostro viale partiva da Piazza del Carmine, dove vi era in epoca romana il Foro di Cagliari e prima ancora area in cui sorgevano importanti edifici di culto punico e che riportava in direzione nord verso l’asse viario che conduceva all’antica Turris Libisonis oggi Porto Torres. Su di essa da entrambi i lati si affacciavano importanti edifici civile e religiosi fra cui tombe monumentali e mausolei come risulta anche dalle scoperte effettuate in questi anni. Fra l’altro sarebbe anche recuperabile una parte dell’antica pavimentazione viaria di epoca romana

Ma il sito archeologico più significativo è senza dubbio la Necropoli di Tuvixeddu. Tuvixeddu è un sito archeologico che: “per monumentalità, estensione e continuità d’uso non aveva confronti così come affermava nel 1886 il Soprintendente ai beni archeologici di Cagliari Francesco Elena.

I fatti ci dicono che questa necropoli prima probabilmente fenicia e successivamente punica e in parte anche romana è unica al mondo. Lo conferma fra l’altro anche l’interesse che a livello internazionale il sito richiama. Io stesso ho avuto modo di accompagnare, diversi archeologi e studiosi che, provenienti da varie parti del mondo, sono venuti a Cagliari solo o prevalentemente per vedere questo sito. Tutti questi signori mi hanno sempre posto alcune domande e fra le tante:

Perché Tuvixeddu non è valorizzato e perché non è un sito UNESCO?

Come mai la gestione del sito è affidato al Verde Pubblico del Comune?

Come mai il rione di Sant’Avendrace è così degradato?

Come è stato possibile autorizzare la costruzione di palazzi in piena area archeologica?

Domande a cui non ho saputo rispondere. Chi di voi ne dovesse avere qualcuna è pregato di farmele pervenire.

Fra l’altro e per completezza di informazione altre domande sorgono in merito all’utilizzo dell’area della ex cementeria, del sottosuolo del colle ricco di gallerie, delle cavità del colle di Tuvumannu da cui si accede alla fine di Via Bainsizza, delle cavità di via Vittorio veneto (molte delle quali orribilmente mutilate dalle soprastanti costruzioni) e del misterioso canyon che da via Falzarego giunge fino in via Is Maglias.

A questo proposito e allo scopo di trovare anche delle risposte sul tema segnalo una bella e originale iniziativa realizzata dalla Associazione Casa di Prometeo che da tempo si batte, insieme a altre poche associazioni locali per strappare dal degrado la memoria di aree e siti di rilevanza culturale e identitaria proprio come è il rione di Sant’Avendrace.

La formula scelta per sensibilizzare l’opinione pubblica è assai originale ed è fatta di suoni, immagini, testimonianze e performance poetico letterarie che offrono un coinvolgente e emozionale quadro ipertestuale dello stato dei luoghi e o delle vicende evocate.

Forse anche in questo modo possiamo tutti insieme rimuovere il sale dei pisani e soci, di cui parlavo in premessa, che ci offusca la mente.

Nella foto: tombe romane con arcosoli presenti nell’ex villino Serra oggi abbandonato e in stato di totale degrado.

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