Senza commento

Ricevo ed inoltro, senza commenti. Roberto

 

Mi chiamo Riccardo Caria, ho 26 anni e vivo a Cagliari. Venerdì 11 gennaio 2008, come spesso accade, ho deciso assieme ad un amico (Mattia  Sanna, 21 anni, di Cagliari anche lui) di andare al cinema. Una serata qualsiasi. Finita la proiezione, io è Mattia decidiamo di andare a mangiare qualcosa prima di tornare a casa, visto che il giorno dopo avremmo dovuto studiare. La scelta, come sempre, cade sulla pizzeria  Tre Archi in viale Diaz, anche perché avevamo saputo che altri amici si trovavano in quella zona. Tutto ciò accadeva poco dopo le 23. Arrivati nel luogo stabilito, la macchina viene parcheggiata nel parcheggiodella banca CIS. La stessa sera a Cagliari era in programma una manifestazione davanti alla casa del governatore Renato Soru, per i fatti legati ai rifiuti campani direzionati verso la Sardegna. Non possiamo non sentire gli schiamazzi, vedere il dispiegamento di auto  della polizia, notare il fumo proveniente dalla collinetta di viale Bonaria (dove abita il governatore). Incuriositi, decidiamo di avvicinarci un poco e vedere cosa realmente stia accadendo. Attraversiamo il parcheggio, che come ogni cagliaritano sa bene è molto  grande, e arriviamo all’inizio di viale Bonaria. Qui ci sono tanto altri giovani e non, esponenti del mondo politico sardo, giornalisti, mezzi della polizia, e quant’altro. In una via laterale si notano i  cassonetti rovesciati. Un lacrimogeno viene sparato, si sentono le  detonazioni delle bombe carta, arriva qualche petardo; il gas inizia a riversarsi verso noi, quindi ci allontaniamo. Bisogna tenere ben
presente che dal luogo in cui ci trovavamo noi (ai piedi della collinetta) non si vede la casa del governatore, quindi è ben facile immaginare quanto distanti fossimo dall’abitazione, luogo dove erano in atti scontri fra teppisti e forze dell’ordine. Attraversiamo nuovamente il parcheggio della banca CIS e ci fermiamo sul marciapiede che si  trova di fronte alla "Sicurezza Notturna", quindi in viale Diaz; di fatto siamo all’ingresso del parcheggio. Li non era accaduto nulla, siamo molto lontani dagli scontri, non ci sono teppisti e nemmeno  persone, eccezion fatta per tre giovani che poco dopo si avvicinano dalle nostre parti; sono una ragazza e due ragazzi. Restiamo li a guardare, increduli, allibiti per quanto stava accadendo, dal momento che a Cagliari una cosa simile mai l’avevamo vista. Passano circa dieci  minuti, siamo tra le 23,30 e le 23,45: da viale Diaz direzione viale Poetto arriva un Land Rover corazzato della polizia, una camionetta bella capiente. Subito dopo vediamo arrivare uno schieramento di 10-15
agenti in assetto antisommossa, quindi con casco, scudo e manganello.
Mattia mi dice "Guarda, arriva la polizia in tenuta. Stanno andando a prendere i teppisti. Finalmente!". Io ricordo di aver pensato che siccome li non era in atto alcuno scontro, probabilmente la camionetta  era entrata all’ingresso del parcheggio per prelevare gli agenti e  portarli verso gli scontri. Poi da li tutto è successo velocemente, è difficile anche spiegarlo a parole. Gli agenti hanno accelerato il passo e sono corsi verso uno dei ragazzi che si trovavano a pochi metri da noi, lo hanno afferrato e hanno iniziato a trascinarlo verso la camionetta dandogli delle manganellate molto forti. La ragazza si
dispera e grida "No, lasciatelo! E’ il mio ragazzo, non ha fatto nulla!". Tempo due secondi e gli agenti le sono addosso, riservandole lo stesso trattamento che avevano avuto pochi secondi prima col suo ragazzo.

Contemporaneamente afferrano e picchiano anche il terzo ragazzo. Ripeto, tutto ciò è successo molto velocemente, quindi non c’è nemmeno stato il tempo di pensare. E infatti io sul momento non capivo  cosa stesse accadendo, mi sembrava impossibile. Istintivamente ho alzato le braccia in aria per dimostrare che ero li con intenzioni pacifiche, non ero una minaccia e non avevo fatto nulla. Anzi, a dirla tutta ero li per mangiare una pizza! Ma ciò non è valso a niente, visto  che sono stato afferrato per il collo da un agente molto più alto e più grosso di me. Prontamente gli ho detto "Non ho fatto niente, non ho fatto niente, non c’entro nulla, ho la macchina parcheggiata qui!". Non  è servito a niente, l’uomo mi ha colpito col manganello e trascinato
via, anche se non facevo resistenza per non peggiorare le cose. In compenso ho ricevuto degli insulti dall’agente, e mi intimava con delle  bestemmie di camminare. Trascinandomi mi sbatte contro un palo e continua a spingermi per farmi andare verso la camionetta. Sul momento ho pensato che forse volevano soltanto fare dei controlli, che non ci avrebbero fatto altro male se non avessimo opposto alcuna resistenza,  ma sulla soglia della camionetta ho capito che non sarebbe affatto andata così: i ragazzi prelevati prima di me iniziano ad essere presi a calci e a manganellate sempre più forti e frequenti, vola anche qualche  sberla. A me succede la stessa cosa, prendo botte un po’ dappertutto e in particolar modo nella schiena. Gli insulti continuano senza sosta.
Cercavo di spiegare le mie ragione, ma non vengo ascoltato da nessuno;  anzi, si inferociscono ancora di più, se è possibile. Veniamo fatti sedere e cerco di restare calmo. Mattia non è più con me, non riesco a vederlo, penso che forse è riuscito ad andare via. Io mi auguro che sia andata così. Ma poco dopo viene portato anche lui sul mezzo e posso  distinguere chiaramente almeno 5 agenti che si accaniscono sulla sua
schiena con calci e manganellate. Salta subito all’occhio l’espressione di dolore sul suo volto. Lo afferro prontamente per un braccio e lo  faccio sedere dietro di me, per metterlo un po’ al riparo. Si fa largo intanto la voce disperata della ragazza, che implora gli agenti di smetterla con la violenza. Gli agenti chiedono al poliziotto a bordo di
 estare a fare la guardia a noi e lui risponde affermativamente. La ragazza continua ad implorare perché cessino le botte. Il poliziotto è un ragazzo, sembra il più umano di tutti, ci dice che adesso c’è lui qui con noi e non verremo più picchiati. In effetti non ricordo di  averlo visto picchiarci neppure prima. Senza pensarci mi alzo in piedi  e inizio a spiegare all’agente che noi siamo brave persone, siamo li solo per mangiare qualcosa e non c’entriamo assolutamente nulla con gli scontri, abbiamo la macchina parcheggiata li vicino e siamo li per  quello. Ricordo anche di avergli detto che io non sono un contestatore delle forze dell’ordine, che se la sono presa con le persone sbagliate.
L’agente allora risponde che quando ci sono simili disordini dobbiamo
fuggire via. Io allora gli ripeto nuovamente che siamo li soltanto per mangiare, che gli scontri sono avvenuti molto lontano dal punto in cui noi ci trovavamo e lo invito a guardare tutti i locali e le pizzerie che in effetti ci sono in viale Diaz. L’ho fatto perché gli agenti  avevano un accento tipicamente romanesco, quindi ipotizzavo che potessero non conoscere bene quella zona della città. A quel punto anche gli altri ragazzi iniziano a parlare con l’agente, francamente non ricordo nemmeno cosa si sono detti, ma suppongo le stesse cose che  avevo già detto io, più o meno. Nel frattempo fuori dalla camionetta inizia ad arrivare della gente, probabilmente allibita da quanto stava
accadendo. Un signore si avvicina al finestrino e chiede all’agente se  quello che stava accadendo fosse giusto, che noi avevamo ragione, che dovevano lasciarci andare. Ma noi non avevamo ragione, non eravamo li per avere ragione di qualcosa, eravamo li semplicemente per mangiare.
Sta di fatto che l’agente fa passare pochi minuti, dopodichè chiama i  colleghi, gli dice che siamo bravi ragazzi e che è il caso di farci scendere e mandare via. Inizio allora a chiedermi "Ma come, non ci controllano neppure i documenti? Eppure essere caricati su un mezzo equivale ad un arresto! Ci hanno arrestati senza una ragione,  malmenati, umiliati e neppure fanno un accertamento?!". Lascio a voi le valutazioni circa i miei diritti violati o meno. Comunque sia, le porte della camionetta si aprono e veniamo fatti scendere. Ma non con i modi  di chi ha preso un granchio, bensì con calci, ulteriori manganellate, urla, minacce, e bestemmie che devono essere arrivate fino alla vicina
basilica. Siamo fuori, ci allontaniamo da li. Scambiamo due veloci chiacchiere con i nostri compagni di sventura, dopodichè fuggiamo a razzo da li. Mattia rimugina di non aver preso il numero di targa, ma onestamente era impossibile farlo in quel clima. In ogni caso era l’ unica camionetta in giro, sarebbe facile identificare i responsabili.  Ci dirigiamo all’ufficio denunce di via Nuoro e li troviamo un ragazzo con la testa spaccata da una manganellata, accompagnato da un amico. Ora non voglio sbilanciarmi, ma neppure con tutta la fantasia diquesto mondo quel ragazzo poteva passare per un delinquente. La serata  si conclude così, con me e Mattia che ancora non riusciamo ancora a
mettere a fuoco un avvenimento troppo assurdo per essere vero. Noi picchiati dalla polizia. Solo un’ora prima
avrei preso per pazzo chiunque potesse dire una cosa simile. Il giorno dopo andiamo al pronto  soccorso per farci visitare. Li conosciamo un uomo che è stato picchiato per aver cercato difendere la moglie, che immobile e senza motivo alcuno stava venendo manganellata selvaggiamente dagli agenti.
La sera abbiamo conosciuto la moglie, ed era più bassa ed esile di me,  che non sono certo un colosso. Al pronto soccorso accertano il pestaggio. La prognosi di Mattia è di 2 giorni, la mia di 3. La sera abbiamo parlato con un giornalista dell’Unione Sarda e abbiamo raccontato i fatti. Oggi, domenica 13 gennaio, sono usciti i nostri  nomi in un trafiletto, ma non viene certo ben spiegata la dinamica dei fatti. Ho come l’impressione che la stampa stia facendo molta confusione su questa faccenda, selezionando quali notizie riportare e quali no. Si sostiene ad esempio che gli agenti abbiano semplicemente fatto un cordone davanti alla casa del governatore, ma la mia vicenda dimostra senza alcun dubbio che questo è falso, visto che noi siamo stati picchiati molto lontano da li. Si sostiene anche che alcuni partiti abbiano incoraggiato i disordini, ma chiunque fosse li non  poteva non notare che gli attacchi erano rivolti alle forze dell’ ordine. I teppisti erano degli ultrà e non avevano intenzione di assaltare casa Soru, bensì creare disordine e cercare lo scontro delle forze dell’ordine. Cosa che avviene sia se si verifica una
manifestazione di questo genere, sia se l’Italia vince i mondiali. Era poi ben facile individuare i teppisti: avevano il volto coperto, colpivano e fuggivano. Mi chiedo come le forze dell’ordine possano aver  colpito in maniera così indiscriminata pur essendo abituate ai tafferugli da stadio, dove i teppisti si riconoscono senza troppa fatica. Mi pare abbastanza logico che i teppisti fossero quelli a volto coperto che scappavano e non quelli a volto scoperto che restavano  immobili perché innocenti e per permettere agli agenti di svolgere al meglio il loro dovere. La contestazione violenta non ha avuto
assolutamente nulla di politico, io ho visto e posso assicurare che era un classico fenomeno di ultrà, al quale siamo tristemente abituati. Il  questore parla di un finanziamento ai teppisti. Io non voglio fare valutazioni politiche, non è questo il senso della mia testimonianza; ma mi chiedo quale sia il nome e il cognome del fantomatico
finanziatore: ho visto coi miei occhi molti esponenti del centrodestra,
alcuni con le mogli e non credo le avrebbero portate se avessero saputo cosa doveva accadere. Allo stesso modo è assurdo pensare che il finanziamento provenga dal centrosinistra, non avrebbe senso. Quindi chi? Forse il presidente Cellino voleva togliere di mezzo un  personaggio più popolare di lui? O più semplicemente il questore non sa
come giustificare quello che hanno fatto i suoi uomini? Questa testimonianza è fatta per farvi capire cosa veramente è successo venerdì notte. Certo, qualcuno dubiterà, qualcuno penserà che se la  polizia mi ha fatto quello che mi ha fatto evidentemente me la devo essere cercata in qualche modo. Ma la verità è questa, le cose sono andate così ed è questo che dovrebbero dire i giornali e non fanno. Sono pronto a querelare la polizia e a combattere in tutte le sedi e in  tutti i modi, non tanto per il pestaggio squadrista che ho subito, ma perché mi sento profondamente umiliato da questo abuso di potere, trattato come un teppista e mandato via a calci, calpestando in ogni modo la mia dignità. Il presidente Soru tira in ballo la solidarietà  citando la costituzione. Dovrebbe però ricordarsi che la costituzione garantisce anche i diritti fondamentali dell’uomo e questi sono stati calpestati in un modo che fa invidia ad una dittatura. Non ce l’ho con  i poliziotti, come ho detto sono sempre stato dalla loro parte e sono
fermamente convinto che facciano il loro dovere eseguendo gli ordini.
Il problema è chi questi ordini li impartisce. In linea di massima le disposizioni hanno carattere nazionale, poi a livello regionale si  decide meglio come attuarle. Quindi se volete si può vedere un concorso di colpe tra poteri tanto facili da individuare che eviterò di citarli.
Questa testimonianza spero abbia la massima diffusione in modo che  tutti possano conoscere i fatti di quel venerdì. Non ci sono valutazioni politiche, non è nemmeno questione se sia giusto o no portare l’immondizia altrui in casa nostra. Il punto è che chi ci dovrebbe proteggere ci ha massacrato di botte senza una ragione. Non  possono però tapparci la bocca e la diffusione via internet credo sia il metodo più efficace, quindi faccio affidamento su ognuno di voi, ringraziandovi anticipatamente.

Riccardo Caria, noto Ricky.

 

 

Fatti forza Riccardo, siamo con te per una società più giusta, più equa, migliore.

 

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