A proposito di carbone e di anidride carbonica

Dal Fisico Erasmo Venosi riceviamo e volentieri pubblichiamo. 

L’organismo più autorevole e formalmente competente a valutare rischi, prospettive ed elaborare proposte , per la riduzione dei rischi legati ai cambiamenti climatici è l’IPCC .(Intergovernmental Panel of Climate Change). Nel Protocollo di Kyoto si parla di "stabilizzazione delle concentrazioni" di gas serra , intendendo l’equilibrio tra le emissioni e gli assorbimenti dovuti all’oceano e alla biomassa continentale. Considerato che gli assorbimenti sono oggi pari al 47% , i tagli dovranno essere superiori al 50%. A dicembre del prossimo anno a Copenaghen , di questo i Governi del Pianeta dovranno decidere. Il Kyoto-2 di tale entità di tagli  dovrà discutere .Le opzioni per la riduzione delle emissioni di Co 2 sono essenzialmente quattro:

•a)     riduzione attraverso il miglioramento dell’efficienza nella produzione e   nell’utilizzo dell’energia

•b)      utilizzo di combustibili meno ricchi di carbonio

•c)      utilizzo di FER

•d)      uso dei fossili con cattura, sequestro e confinamento della Co 2 , nota con l’acronimo CCS (carbon capture and storage).

Nella tecnica CCS la CO 2 viene catturata cioè resa disponibile ai confini della entrale ad elevata "purezza" e allo stato liquido ( per avere tale condizione alla temperatura ambientale deve esser compressa tra gli 80 e i 150 bar).Innanzitutto diciamo che una centrale con cattura consumerà più combustibile rispetto a una senza, a parità di elettricità. Realisticamente un 15% in più. La perdita di rendimento è intorno agli 8 punti percentuali. Relativamente alle tecniche di cattura, si può fare riferimento a tre tipi di intervento:

•1)      rimozione dai gas combusti. La CO2 è separata dagli altri gas e assorbita da apposite soluzioni che vanno poi rigenerate. Si usano le ammine come assorbitori chimici in particolare la mono-etanol-ammina in soluzione al 30% con acqua. Il processo più critico è la rigenerazione delle ammine che richiede ingenti quantità di calore.

•2)      Ossicombustione: in pratica si fa avvenire la combustione con ossigeno con maggiore purezza, in modo da ottenere come componenti principali di gas combusti CO2 ed acqua. In tale processo però serve una ASU (unità di separazione aria) con distillazione criogenica che consuma almeno 0,2 Kwh/Kg di ossigeno. Se consideriamo una centrale di un Gw (un milione di kw) elettrico che consumerà almeno 250kg/secondo di ossigeno , avremo che almeno 175 .000 Kw servono ad alimentare l’ASU ossia che il 17,5% della potenza , se ne va per alimentare l’ASU.

•3)      De carbonizzazione del combustibile: è una tecnica di precombustione che trasforma il combustibile in un gas di sintesi.Il combustibile è trattato in modo da produrre idrogeno e separando la CO2 prima della combustione finale dell’idrogeno. In pratica si usa un reattore di shift del syngas più un sistema i separazione di CO 2 dal gas di sintesi.

Le tecniche di cattura della CO2 comportano una riduzione del rendimento del 7-10% e un aumento del costo d’investimento variabile tra il 25 e il 60%. Si passa, infatti, dai 1063 euro per Kw di potenza di una centrale a polverino di carbone (come le due centrali che enel vuole realizzare a porto tolle e civitavecchia)  ai 1529 se alla stessa centrale applichiamo la tecnica del sequestro con ossicombustione , ai  1601 con assorbimento chimico dei gas combusti. Un impianto a gas naturale con ciclo combinato IGCC ha un costo base di 1266 euro/kw di potenza, che passa a 1604 con de carbonizzazione del gas a 1893 con sequestro con ossicombustione e 1817 con assorbimento chimico. Le penalizzazioni elencate si traducono con un costo della CO 2 evitata dell’ordine di 20-30 euro a tonnellata. Per l’IPCC 2005 il costo della CO 2, senza trasporto e stoccaggio varia tra  i 38 e i 67 dollari per tonnellata. Un esperimento si sta realizzando nella città di Zibo , nello Shandong su brevetto italiano: la tecnologia si chiama COT2Trans (co2 trasformation) della AST Engineering. La tecnologia è in grado di trattare 240.000 mc di fumi all’ora. Vari reattori trattano inquinanti diversi: il primo tratta particelle sottili e metalli. Nel secondo  gli ossidi di azoto e nel quarto viene separata la CO2.Questa CO 2 viene poi trattata con l’idrogeno per formare metanolo, che una fonte di energia e un solvente per l’industria. Il problema diventa la produzione di idrogeno.

Quest’ultimo può essere prodotto attraverso l’elettrolisi o la termoscissione. La sperimentazione riguarda una centrale elettrica a carbone che serve una una grande impresa tessile.

 

Oltre alle tecniche del sequestro che sono state elencate esiste il problema dello stoccaggio finale che può essere fatto :

•1)      in giacimenti di metano o petrolio scarsamente produttivi

•2)      in formazioni saline

•3)       in vene carbonifere non sfruttabili    

•4)      In oceano

Il primo caso rientrante nei cosiddetti progetti EOR (Enchanced OIL Recovery) serve a innalzare la percentuale di petrolio da recuperare e abbatte di molto i costi di stoccaggio. negli S.U. ci sono almeno una settantina di progetti EOR con iniezione di 30 milioni di tonnellate di CO2. Un caso particolarmente interessante è quello di Weyburn (Canada), il primo caso che prevede un’accurata fase di monitoraggio della CO 2 immagazzinata e la caratterizzazione degli spostamenti dei diversi fluidi all’interno del giacimento ( ricerca finanziata dalla CE a cui partecipa l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia italiano).

Lo stoccaggio in formazioni saline costituite da rocce sature di acqua con dentro disciolte elevate quantità di Sali. Per sfruttarle queste formazioni devono avere sovrastanti estese di roccia impermeabili,stabilità geologica e spessore e porosità adeguate. da noi sono presenti in tutto l’Adriatico).Attualmente ci sono due esperimenti uno in Algeria partito nel 1996e un altro nel mar del nord 2004.Un solo esperimento in Messico e conclusosi con il verdetto di antieconomicità è stato realizzato, usando le vene carbonifere non sfruttabili.

L’ipotesi di confinamento in oceano a profondità di oltre 1000 m è inquietante a mio giudizio, per le seguenti ragioni. Circa un terzo del biossido di carbonio liberati oggi (ogni anno vengono immessi in atmosfera circa 27 mld di tonnellate di CO2) ,finisce negli oceani. La CO 2 assorbita va a formare l’acido carbonico e causa un abbassamento del livello normale di pH , che è leggermente alcalino. Lo sbilanciamento verso un ambiente più acido e i conseguenti cambiamenti della chimica degli oceani creano difficoltà agli organismi marini che costruiscono le loro arti solide a partire dal carbonato di calcio. Quindi l’abbassamento del pH minaccia vari organismi , tra cui coralli che forniscono uno degli habitat più ricchi del pianeta. Nell’arco di un secolo la sezione a sud dell’equatore dell’oceano Indiano, del Pacifico e dell’Atlantico diventerà corrosiva per i gusci di piccole lumache di mare, minuscoli animali che costituiscono un anello chiave della catena alimentare di queste aree. Concludendo , per  avere successo la tecnica di sequestro geologico della CO2 deve soddisfare tre requisiti:
– deve essere competitiva in termini di costi rispetto alle attuali alternative per il contenimento dei gas serra, quali le fonti rinnovabili e i miglioramenti di efficienza dei processi di produzione
– deve garantire uno stoccaggio nel sottosuolo stabile e di lungo termine
– deve essere ambientalmente compatibile

Dal punto di vista economico, vi è ancora molta incertezza sulla determinazione dei costi nelle varie situazioni operative. Le esperienze sinora effettuate e gli scenari studiati lasciano intendere che i costi possono variare anche significativamente da una situazione all’altra, Quel che è certo è che l’immissione di CO2 in giacimenti di petrolio o gas naturale per il recupero assistito, rappresenta la migliore opportunità di sequestro a bassi costi se si considerano i ricavi dovuti al recupero di petrolio o gas. Tale attività (la cosiddetta Eor, Enhanced Oil Recovery) ha una duplice funzione: garantisce evidenti vantaggi ambientali, perché riduce le emissioni di gas serra in atmosfera, e aumenta la produzione d’idrocarburi in quei giacimenti dove la pressione esistente non ne consente una adeguata fuoriuscita. Gli Stati Uniti sono i leader mondiali nella tecnologia Eor e utilizzano circa 32 milioni di tonnellate anno di CO2 a questo scopo. Tra i vari progetti merita una citazione quello di Weyburn in Canada: grazie al sequestro permanente di circa 20 milioni di tonnellate di CO2 durante l’intero progetto sarà possibile produrre almeno 130 milioni di barili di petrolio incrementale. Nel sequestro geologico le concentrazioni elevate di CO2 in atmosfera possono essere correlate a due ordini di problemi: fuoriuscite di CO2 durante le fasi operative volte alla cattura, trasporto e iniezione nel sottosuolo e rilascio in atmosfera dal sito di stoccaggio.
Sul primo punto si può affermare con certezza che la cattura, il trasporto e l’iniezione di CO2 sono pratiche ben testate nel settore petrolifero e si avvalgono di tecnologie all’avanguardia. Gli incidenti più frequenti sono dovuti a rotture nei tubi o nei pozzi d’iniezione, ma la fuoriuscita di CO2 in questi casi è trascurabile per la presenza di opportune valvole di sicurezza che interrompono il flusso di gas al variare della sua pressione. Anche il rischio di corrosione dei tubi che può provocare fuoriuscite incontrollate di CO2 è stato aggirato grazie all’utilizzo di moderni materiali anticorrosivi. Adottando pertanto le opportune pratiche di sicurezza, già ampiamente in uso per il trasporto del gas e del petrolio, i rischi nella fase operativa possono essere decisamente contenuti.
Minore è l’esperienza sul rilascio di CO2 dal sito di stoccaggio. Le uniche considerazioni che possono essere fatte riguardano eventi naturali del passato. In natura, infatti, esistono già migliaia di depositi di CO2 nel sottosuolo e le fuoriuscite più cospicue sono perlopiù correlabili ad attività vulcaniche. Esempi eclatanti sono il monte Kilaua alle Hawaii, che emette circa 1,4 milioni di tonnellate l’anno di CO2, e l’eruzione del 1991 del monte Pinatubo, nelle Filippine, in cui furono emesse 42 milioni di tonnellate di CO2. Entrambi gli eventi non si sono dimostrati letali per gli esseri viventi poiché i fattori di dispersione in atmosfera hanno contribuito ad attenuare le concentrazioni di CO2.Tutto ciò considerato io ritengo che non dobbiamo opporci alla sperimentazione del sequestro e confinamento della CO 2.

 

Erasmo Venosi

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