Il TAR ha, purtroppo, ragione!

               

Il Tar della Sardegna ha, purtroppo, ragione!

 

In relazione all’articolo pubblicato ne "L’Altra Voce", a firma di autorevoli studiosi di storia e arte, ritengo debbano levarsi almeno una serie di pacate riflessioni:

La prima è che i magistrati del TAR hanno fatto il proprio dovere.

Di fronte a tali e tante "anomalie" tecnico procedurali, nochè legali contenute negli atti della Commissione e negli atti amministrativi di riferimento posti in essere dalla Regione, il TAR Sardegna, anche volendo, non avrebbe potuto fare diversamente. E non tanto per quanto fatto da Nuove iniziative Coimpresa, ma per quanto, pervicacemente, voluto dal Presidente Soru. Che, fin dall’inizio, ha percorso una strada almeno formalmente sbagliata, che col tempo è divenuta anche sostanzialmente errata. Questo perché in Italia un vizio di forma "cassa" quasi sempre anche la sostanza delle cose.

La seconda osservazione verte sul concetto di paesaggio. Concetto e valore non residuale, ma esponenziale di molteplici componenti che, non afferiscono, al solo ambito storico archeologico, come sembra essere per molti degli odierni attori. Inoltre il paesaggio non deve essere pensato in ottica romantica di restaurazione acritica riferito – alla salvaguardia del tratto distintivo della necropoli e delle stratificazioni ulteriori, che era "quello della cupezza, dell’inquietante senso della desolazione che i luoghi spogli ed aridi suscitano"-

 

In merito a questa "Visione", il TAR ha di recente affermato che la visione del paesaggio intesa come cristallizzazione di una naturalità idealizzata non é più realistica e che la tutela del bene deve conciliarsi con i principi dello sviluppo sostenibile, in special modo in presenza di siti non incorrotti ed inseriti in contesti fortemente urbanizzati. Il paesaggio da tutelare e preservare non può che essere quello esistente, essendo inconcepibile, oltre che estremamente costoso, un ritorno al passato storico in presenza di aree che non conservano la memoria dei luoghi originari se non in limitate porzioni isolate e circondate dalla rete della città L’ultima osservazione si riferisce ad alcune macroscopiche censure individuate dalla stessa corte, fra le tante ritengo meritino un rilevo quelle che riguardano la partecipazione (del tutto formale) del Comune di Cagliari alle fasi del procedimento, nonostante che si sia detto in più occasione che "l’intervento progettato consente di ricucire un brano del tessuto urbano particolarmente significativo nel contesto cittadino" e che "tutte le amministrazioni interessate, compresa la Sovrintendenza archeologica, hanno espresso parere favorevole.

 

Altre critiche si riferiscono alla violazione e falsa applicazione dell’art. 137, comma secondo, del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, illegittimità del procedimento di scelta dei componenti della commissione regionale; l’articolo 137, comma 2, del decreto legislativo n. 42/2004 prescrive che l’individuazione dei componenti la commissione deve avvenire "nell’ambito di terne designate, rispettivamente dalle Università aventi sede della regione, dalle fondazioni aventi per statuto finalità di promozione e tutela del patrimonio culturale e dalle associazioni portatrici di interessi diffusi individuate ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349″; la previsione di un termine prima della scadenza del quale la regione non può procedere alle nomine al di fuori delle terne, appare significativa della obbligatorietà in capo alla regione di richiedere agli enti indicati la formazione delle terne di nominativi;

 

Altre alla violazione e falsa applicazione dell’art. 138 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 22, violazione degli artt. 2 e 9 del "Regolamento interno per i lavori della commissione regionale", eccesso di potere per insussistenza e falsità dei presupposti ai fini dell’adozione della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area di Tuvixeddu – Tuvumannu, illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione; la commissione non ha svolto una adeguata istruttoria, non solo non ha acquisito tutte le informazioni attraverso le soprintendenze e gli uffici regionali e provinciali, ma addirittura alcuni suoi membri hanno formato l’istruttoria preventivamente ed all’esterno. La proposta non è stata corredata da alcuna documentazione fotografica, dalla lettura dei verbali emerge che l’intendimento della commissione era pregiudizialmente quello di aggravare il vincolo preesistente senza la preliminare obbligatoria istruttoria. Lo stesso sopralluogo effettuato dalla commissione non ha riguardato l’area della società ricorrente;

 

Ma ci sono altre contestazioni e fra queste:

l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, falsità dei presupposti, illogicità, contraddittorietà e difetto di motivazione; la commissione ha utilizzato criteri di valutazione di natura archeologica, ha utilizzato criteri labili imprecisi ed immotivati per determinare l’estensione dell’area sottoposta a vincolo e la sua estensione; ha espresso le sue valutazioni senza tenere conto dei preesistenti vincoli paesaggistici ed archeologici, non ha tenuto conto che le aree di edilizia privata, che occupano ambiti periferici rispetto ai luoghi di interesse archeologico e paesaggistico, hanno una evidente funzione di cerniera fra le zone tutelate e l’apparato urbano che le circonda, non ha tenuto conto che le trasformazioni urbanistiche ed edilizie che si sono succedute nel tempo hanno confermato l’inesistenza di ritrovamenti di particolare rilevanza archeologica, al di fuori del perimetro coperto dal vincolo archeologico, né che nell’areale in questione non esiste alcun Sito di Interesse Comunitario e che la maggior parte degli habitat citati non solo sono assenti, ma non vengono citati nell’elenco floristico di B. De Martis, opera utilizzata dalla commissione come documento bibliografico di riferimento. Non ha fatto alcuna analisi e valutazione dell’area interessata in relazione agli aspetti urbani, urbanistici, residenziali dell’insediamento umano presente ed ha motivato la propria proposta dando rilievo alla storia del sito. Ha proposto una perimetrazione non coerente con la valenza storico-culturale che la stessa commissione ha dato all’area in oggetto, etc.;

 

La violazione dell’art. 140 del d. lgs. n. 42/2004 e dei principi generali di cui all’art. 97 della costituzione, in tema di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione; ai lavori della giunta regionale, e quindi all’approvazione della proposta, ha partecipato la prof.ssa Mongiu in qualità di assessore regionale della P.I., ma la stessa era stata componente della commissione regionale per il paesaggio, che aveva formulato la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area in questione, per la sua presenza la giunta non poteva trovarsi in una condizione di imparzialità;

 

l’illegittimità derivata; tutti i vizi della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico dell’area di Tuvixeddu – Tuvumannu – Is Mirrionis, denunciati con i primi motivi aggiunti, si riverberano sulla delibera di approvazione della stessa da parte della giunta regionale, in ogni caso, il sopralluogo effettuato dal Collegio ha potuto verificare quanto sostenuto nel ricorso in relazione alla mancata considerazione dell’effettivo stato dei luoghi;

 

– violazione degli art. 139 e 140 del D.Lgs. 42/2004; la regione non ha esaminato né tenuto conto delle osservazioni prospettate dalla società ricorrente, dal comune di Cagliari e da altra parte privata;

– eccesso di potere per falsità dei presupposti, illogicità, difetto di motivazione e sviamento. L’amministrazione regionale, nella stessa delibera con la quale ha approvato la proposta di vincolo, ha dato mandato agli assessori competenti "perché venga rapidamente realizzato, anche in collaborazione con il comune di Cagliari, il progetto di tutela, conservazione e ripristino delle aree di Tuvixeddu – Tuvumannu – Is Mirrionis secondo le indicazioni contenute nello studio del prof. Gilles Clement". In tal modo la regione, con gravissimo sviamento di potere, dimostra di volere realizzare un altro progetto, svincolandosi dagli impegni assunti con gli accordi di programma. Insomma la Regione si e comportata come se quegli accordi non fossero mai esisititi e non avessero avuto inizio o attuazione, cosa che è peraltro successa.

Per motivi di spazio ho tralasciato le altre contestazioni sollevate dal Giudice annibistrativo regionale.

 

Pertanto è bene leggersi la sentenza e capire che alla fin fine il Tar "stando così le cose" non poteva fare altrimenti e, soprattutto, stante la non impeccabile azione della nostra Pubblica Amministrazione che in questa amara vicenda ha mostrato.

 

Ora c’è il ricorso al Consiglio di Stato. Ne vedremo ancora tante…

 

Ciononostante, speriamo che il buon senso prevalga e si chiuda definitivamente questa triste e muscolosa partita il cui costo per la collettività è direttamente proporzionale al passare del tempo.

Per dirla in altro modo. E’ come se la ditta Coimpresa, grazie alla RAS, avesse aperto un conto in banca che frutta tanti interessi che a loro volta producono altri interessi. Somme che, in ogni caso, pagheremo noi anche se non in modo evidente e diretto e che sicuramente "qualcuno" cercherà di "farle passare" con retoriche e demagogiche argomentazioni che molti di noi silenziosamente faranno finta di capire per il "bene di quei superiori valori assoluti" che vengono tirati in ballo solo quando fa comodo.

Leggasi sardità, benessere diffuso, sviluppo sostenibile, valore identitario e/o nazionalitario.

Roberto Copparoni

Presidente Amici di Sardegna

 

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