La tragedia di Capoterra poteva evitarsi

 

 

 

Cari amici, sono letteralmente sconvolto per tutto quello che è accaduto.

      Da 40 anni ho avuto modo di assistere a ben 5 alluvioni e perdere degli amici, fra gli ultimi un mio compagno di liceo, Antonello Porcu,   

      Proprio poche settimane fa segnalavo proprio su questo sito i pericoli che il territorio di Capoterra stava correndo. E’ per questo vi chiedo di dare      spazio a questo comunicato, perché è venuto il momento di smetterla di cercare di addattare la natura ai bisogni degli speculatori.

      Speculatori che, di solito, non pagano quasi mai le conseguenze di quello che fanno anzi, spesso si danno alla politica ottendo, persino, posizioni di rilievo.

      Gli unici a pagarne le conseguenze sono i normali cittadini che vedono sparire importanti affetti familiari e beni materiali (appartamenti, autovetture e altro)            che sono il frutto di anni di lavoro e di tanti sacrifici.

      A loro e per loro chiedo che venga fatta giustizia unendomi nel cordoglio e nella più profonda commozione per tutti i lutti subiti.

      C’è un articolo fra i tanti pubblicati in questi giorni che ci può aiutare a comprendere le cause di questo ennesiomo disastro annunciato. Esso è stato    pubblicato il 25/10/2008 su La Nuova Sardegna a firma di Mauro Lissia. Ecco di seguito il testo dell’articolo :

Capoterra. Storia di una speculazione edilizia degli Anni ‘60 sui terreni dei possidenti cagliaritani all’ombra della DC.
E l’agro diventò una giungla di cemento.
Da aree alluvionali buone per la caccia e l’agricoltura a lotti edificabili

CAPOTERRA – Si chiama ancora piano di fabbricazione e risale al 6 giugno del 1969. Il sindaco di Capoterra era Felice Baire, notabile di paese e figlio di quella Dc immobiliare che ha trasformato l’hinterland in un’inestricabile jungla di cemento anonimo. Un ingegnere immobiliarista fu chiamato a elaborare il piano di fabbricazione: era Pierluigi Monni, coinvolti poi in una serie di inchieste giudiziarie per abusi edilizi. Quel piano largo e generoso classificò come zona edificabile la gran parte delle rigogliose campagne capoterresi, per la gioia delle blasonate famiglie cagliaritane che si trovarono moltiplicato per mille il valore delle antiche tenute di caccia e dei terreni agricoli ereditati dai nonni.
Da area alluvionale, buona per picnic estivi e campo ideale per le doppiette, il territorio di Capoterra diventò un eldorado per imprese in vena di espansione. L’idea di fondo era di offrire spazi alternativi ai cagliaritani, senza badare troppo alla pianificazione. Ma la responsabilità di quello che appare oggi come un caso di palese malgoverno del territorio non è soltanto dell’amministrazione comunale di allora: per quanto permissivo e miope, il piano del ‘69 stabiliva comunque qualche regola.
Forse persino troppe in una fase storica in cui erano pochi a parlare di difesa ambientale. Così la Regione, schierata con chi aveva fretta di trasformare la piccola Capoterra in un sobborgo verde di Cagliari, inventò la famosa ‘LEGGE-PONTE’ che consentì alle imprese di costruire saltando allegramente il rapporto di convenzione con il Comune. Una sorta di salvacondotto urbanistico grazie al quale sono nati gli agglomerati a mare di La Maddalena spiaggia, Frutti d’Oro uno, Frutti d’Oro-la Vigna e Su Spantu uno: tutta edilizia per stomaci forti. Sono passati quasi quarant’anni e le amministrazioni comunali di oggi fanno ancora i conti con quel mostruoso strumento: impossibile elaborare un piano urbanistico moderno. Chi ha provato a fermare l’avanzata delle lottizzazioni, come fece negli anni Novanta il sindaco Tore Cadoni, si è preso bombe, attentati e minacce d’ogni tipo. Chi ha terra edificabile da vendere vorrebbe avere mano libera, chi ha i soldi per costruire è convinto che i divieti non siano altro che soprusi. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti e il nubifr
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o del 22 ottobre – dopo quello dell’11 novembre 1999 – ha fornito una conferma drammatica e disastrosa dei consapevoli errori commessi in quei tempi: in un’area di cui 270 ettari sono classificati ‘a rischio molto elevato’ nel piano di assetto idrogeologico del 2004 si è costruito selvaggiamente e si vorrebbe continuare a costruire, come se le sciagure meteorologiche ricorrenti non avessero insegnato nulla. Dai tentativi del gruppo Berlusconi, che voleva portare seimila abitanti nella delicatissima vallata dove oggi sorge Hydrocontrol, fino alle iniziative luxury del pluri-indagato avvocato d’affari Peppetto Del Rio, che sognava un’oasi di megaville a due passi da Poggio dei Pini, la storia recente di Capoterra è segnata da incessanti controversie legate al cemento. L’ultima, nel 1992 – un’altra convenzione risulta registrata nel 1997 – ha visto l’amministrazione comunale e gli ambientalisti soccombere tristemente.
Risultato: le centinaia di case costruite sullo stagno di Santa Gilla. Quasi sull’acqua, per volontà e interessi della cooperativa Mille-Cento che faceva capo all’allora semplice imprenditore edile Sergio Zuncheddu (LUI, IL PALAZZINARO PADRONE DELL’UNIONE SARDA). Se nel 1970 Capoterra contava appena ottomila abitanti, oggi il sindaco Giorgio Marongiu, espresso da una coalizione di centrosinistra, è chiamato a governare servizi destinati e quasi 24 mila cittadini – 12 mila nei rioni sorti in campagna – che patiscono la bulimia edificatoria degli anni passati. Tredici lottizzazioni su seicento ettari, problemi da città metropolitana con risorse economiche da piccolo paese. Soprattutto un’esposizione al rischio di eventi meteorologici conosciuta da decenni e affrontata mai. Al contrario: un pericolo cresciuto insieme ai villaggi delle periferie, indifesi perchè messi in piedi a vanvera. Come San Gerolamo, esempio eclatante di irresponsabilità. In questi giorni è il commissario della protezione civile Guido Bertolaso e sono i geologi a spiegare il destino ineluttabile di questa frazione popolosissima. Ma non servono gli esperti per capire quanto sia sbagliato costruire centinaia di case attorno a un fiume che raccoglie le acque di due dighe, sotto il livello del mare e senza un minimo di attenzione alle norme che regolano la sicurezza idrogeologica. I documenti dicono che la lottizzazione Rio San Girolamo è il risultato di una convenzione stipulata il 3 novembre 1977 tra gli uffici di Capoterra – sindaco era il socialista Raffaele Farigu (LUI, ATTUALE CONSIGLIERE REGIONALE DEL CENTRODESTRA)- e la società ‘Selene Agricola immobiliare srl’, oggi cessata. Il proprietario delle aree era Mario Floris, PADRE DELL’ATTUALE SINDACO DI CAGLIARI. Il progetto fu affidato all’ingegner Massimo Abis, amministratore della società era
Francesco Cittadini e dalle visure storiche l’attività della Selene risulta essere il «miglioramento di fondi rustici e urbani». Per rendersi conto di quanto e come siano stati migliorati quei fondi basta fare un giro tra le case di San Girolamo in queste ore: non una costruzione è uscita salva dalla furia delle acque. Oggi quelle terre assomigliano a una favela brasiliana e solo un intervento finanziario massiccio e ben indirizzato potrà restituire una vita normale agli sventurati abitanti. Che non sono villeggianti agiati, ma famiglie abbagliate a suo tempo dai prezzi: a rischio com’erano, i lotti furono venduti a poco. Le case poi spuntarono come funghi, alcune messe su senza badare troppo all’immagine. Col mare a due passi e la strada di Cagliari a portata di mano, gli acquirenti non potevano immaginare che un giorno sulle loro cose sarebbe piombato il contenuto di una diga. Non potevano immaginarlo perchè nessuno glielo disse.

      Oggi a distanza di pochi giorni è  venuto il momento di urlare la nostra rabbia verso coloro che per anni hanno gestito il potere pubblico per uso personale,          agevolando parentele e consolidando clientele. Da oltre 40 anni assisto impotente a questa logica aberrante, molto vicina ai modelli tipicamente di stampo             mafioso.
      Proprio alcune settimane fa sono
stato criticato da alcuni amministratori di Capoterra perchè mi ero permesso di evidenziare a nome dei Verdi, nel blog       Capoterra punto net, alcuni dei tanti problemi che presenta questo territorio. Fra cui due in modo particolare: l’assetto del territorio e l’ordine pubblico.            Pensate che l’assessore ai lavori Pubblici mi ha persino telefonato chiedendomi seccato di togliere immediatamente dal blog citato il mio intervento perchè       era gravemente offensivo nei nei confronti della locale amministrazione,così come del resto ha fatto il Consigliere Mallus che ha difeso (come era      prevedibile!) la sua giunta comunale.
      Noi non abbiamo mai sostenuto il Sindaco Marongiu, ma non per questo siamo andati a sostenere il candidato della destra. Siamo rimasti fedeli alleati di           Franco Baire fino alla fine.
      Per anni siamo stati denigrati e citati come allarmisti. Ora i fatti dimostrano solo una cosa:
      che avevamo ragione noi! Con la natura non si scherza. Prima o poi si pagano sempre gli abusi e le furberie.
      La cosa non ci rallegra di certo, anzi è motivo di ulteriore rabbia e disappunto…
      Adesso è giusto che la Magistratura accerti le inevitabili responsabilità che fanno capo a tutti gli amministratori che in questi anni hanno reso possibile      questo scempio, facendo lottizzare di tutto e di più. Prosciugando anche tratti di laguna, deviando greti di torrenti, trascurando la pulizia degli argini e canali,           autorizzando sbarramenti, dighe e laghetti senza metterli in sicurezza, autorizzando persino costruzioni di residenze in aree a rischio di alluvione e tanto altro       ancora…
      Pertanto invito tutti coloro che vogliono, a costituire subito un comitato spontaneo per vigilare sulla corretta applicazione delle misure di indennizzo che             saranno predisposte e per evitare che i "soliti noti"continuino a trarre beneficio anche da questa disgrazia, che questo blog potrebbe patrocinare, a cui   aderisco fin d’ora, per organizzare gli aiuti alle popolazioni colpite da questo ennesimo disastro ambientale che doveva e poteva essere evitato.

 

 

 

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